OTTO gallery, galleria bolognese attiva da tempo prevalentemente con maestri riconosciuti e artisti mid-career, la scorsa stagione aveva inserito nella programmazione espositiva Tetraedro, una collettiva con un’ampia sezione di “scouting” incentrata su giovani talenti emergenti nel campo della pittura, con l’intento di dare nuova linfa alle collaborazioni artistiche. Questa ricognizione sul nuovo entra più nel dettaglio con la mostra Something filled up my heart with nothing attualmente in corso e dedicata a Vera Portatadino, una delle artiste coinvolte nel progetto precedente.
La pittrice, la cui opera esposta nella collettiva Botticelli. Il suo tempo. E il nostro tempo (2021) al Mart di Rovereto è stata recentemente acquisita dallo stesso museo, si distingue per uno stile versatile e molto personale in ognuna delle variegate declinazioni stilistiche in cui si cimenta, tutte accomunate dall’intento di esplorare la questione della grammatica della pittura e le sue specifiche potenzialità espressive. Tale obiettivo era già pienamente focalizzato nel 2018 quando l’artista, insignita del Premio d’Arte Città di Treviglio, spiegava che l’opera vincitrice era «parte di una serie di recenti opere che nascono dall’interrogarsi su quale sia la specificità della pittura, in una realtà che accelera vertiginosamente verso il virtuale. La pittura è, per così dire, una forma di resistenza che, nel processo da me scelto, volutamente lento, fatto di velature e lavorazione della superficie, esibisce una tangibilità, anche sensuale, in contrasto con la smaterializzazione del reale ed esige una visione ravvicinata e attenta, suggerendo modalità contemplative all’opposto di una “fruizione-Instagram”».
Il titolo della mostra a OTTO gallery è tratto dal testo di Wake Up, un brano degli Arcade Fire (2004) che invita a prendere coscienza dei propri errori rievocando la purezza di spirito dell’età infantile. Quest’atmosfera disincantata è assurta a mood generazionale di coloro che, nati intorno agli anni ’80 come l’artista, soffrono la disillusione dell’euforia epocale in cui sono cresciuti, le cui premesse sono state completamente disattese dalla nostra conflittuale e problematica attualità. Allo stesso modo in cui la canzone è strutturalmente scandita dall’evocazione di fenomeni naturali come metafora di una condizione esistenziale, inoltre, anche la serie di dipinti presenti in mostra è incentrata sul tema del rapporto dell’uomo con una natura universale, che l’artista propone come chiave di interpretazione e lettura del nostro presente. Le preoccupazioni ecologiche alla base di quest’ispirazione compongono quindi l’ossatura narrativa di una progressione pittorica e concettuale che parte dalla pacificata paratassi floreale dei prati verdi esposti nella prima sala (allusivi a un’idilliaca armonia primordiale) per passare alle opere della seconda stanza, in cui s’insinua l’azione di una fiamma (liberatoria ma anche distruttiva) che brucia la natura sciogliendo gli ultimi residui di figurazione in un magma incandescente, e approdare infine ai paesaggi astratti e desertificati dell’ultimo ambiente, dove la superficie pittorica, addizionata di gesso, sembra trattenere l’emersione di sporadici reperti biomorfi.
Se da un lato questo climax può essere letto come incitamento a ripristinare la perduta sintonia con la natura, dall’altro la sua evidenza più pregnante sta nell’offrire all’artista la possibilità di approfondire differenti accezioni del linguaggio pittorico senza mai indebolire la raffinata tensione verso la bellezza che le riconduce a una visione complessivamente unitaria. Notevole è il fatto che tutti i lavori siano stati realizzati in un arco di tempo molto ravvicinato e che quindi la compresenza di stili e suggestioni non indichi le tappe di un percorso evolutivo lineare, ma la ricchezza dell’armamentario pittorico a cui Vera Portatadino liberamente attinge, dimostrando sia una consapevole padronanza delle citazioni iconografiche e stilistiche tratte dalla storia dell’arte e sia maturità nell’elaborare il suo personale apporto a partire da ciascuna di esse. Facendo scorrere lo sguardo sui dipinti in modo da passare dall’uno all’altro come se fossimo circondati da un continuum pittorico, possiamo intravedere uno sfondo pastoso di De Pisis, un rametto di bacche di Pinturicchio, una stilizzazione fiorita di Klimt e tante altre reminiscenze. L’artista, analizzando al microscopio i singoli elementi della cultura visiva a lei consona con l’intento di incorporarli nel suo discorso sulla pittura, mentre sembra voler verificare sulla propria pelle l’ipotesi che l’arte sia tutta contemporanea, induce chi guarda a fare tesoro di questo attraversamento.
Guardando nel dettaglio le singole opere, si precisa invece l’intenzione di una ponderata riflessione sulla pittura, che viene esperita come incessante ricombinazione dei suoi elementi base: colore, luce, segno e materia. Il motivo conduttore di questa ricerca è la sovrapposizione in trasparenza su sfondi atemporali di pattern astratti e dettagli figurativi, a cui talvolta vengono concessi ombre e peso specifico, mentre in altri casi rimangono eteree evocazioni che sollecitano la pareidolia. Dettagli di per sé insignificanti diventano il soggetto principale dei dipinti dove, come spiega il testo di Sofia Silva, «si incontrano numerosi simboli derivanti da iconografie antiche e archetipiche, come la rosa ardente, il fiore dell’Apocalisse, il fuoco della rivelazione» perché l’artista «non usa i simboli in quanto tali, piuttosto s’imbatte in loro in maniera spontanea». Esplorando le dimensioni della pittura a partire dalla materialità dei supporti, Vera Portatadino sceglie di utilizzare la tavola per opere di piccolo formato che privilegiano un effetto più prezioso da Wunderkammer in miniatura, mentre quelle di dimensioni maggiori su tela enfatizzano le potenzialità scenografiche delle pennellate e dei segni. La stessa luce endogena, tersa e spirituale, trapela dal fondo di tutti i dipinti, come emanazione uniforme nelle parti più libere e astratte oppure come spiraglio che trapela tra un tono di verde e l’altro, colore di cui l’artista padroneggia le differenti gradazioni con una maestria non scontata per una giovane artista.
Info:
Vera Portatadino. Something filled up my heart with nothing
22/10/2022 – 21/01/2023
OTTO gallery
www.otto-gallery.it
Via d’Azeglio 55, Bologna
Laureata in storia dell’arte al DAMS di Bologna, città dove ha continuato a vivere e lavorare, si specializza a Siena con Enrico Crispolti. Curiosa e attenta al divenire della contemporaneità, crede nel potere dell’arte di rendere più interessante la vita e ama esplorarne le ultime tendenze attraverso il dialogo con artisti, curatori e galleristi. Considera la scrittura una forma di ragionamento e analisi che ricostruisce il collegamento tra il percorso creativo dell’artista e il contesto che lo circonda.
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