Dal 23 aprile fino al 2 luglio 2021 sono esposte, presso la z2o Sara Zanin Gallery, le opere di Michele Tocca e Fabrizio Prevedello. La mostra, curata da Davide Ferri, a partire dall’incontro tra i due linguaggi, propone un unico racconto attraverso il dialogo tra i lavori stessi: il risultato è uno spazio coeso nel quale si generano nuove associazioni e percorsi visivi tra pittura e scultura.
Sofia Zin: Conoscevate già reciprocamente uno il lavoro dell’altro?
Fabrizio Prevedello: Girando per le strade di Bologna, dove ancora mi oriento poco, durante i giorni dell’ultima fiera d’arte del 2020 (in presenza), ho raggiunto Palazzo De’ Toschi in Piazza Minghetti. Lì, Davide Ferri curava la mostra collettiva “Le realtà ordinarie”, che comprendeva una selezione di opere pittoriche, tra cui alcune tele di Michele Tocca. Opere brune, dal formato intimo, delicate. Di Michele avevo anche sentito il nome ripetersi tra recensioni di mostre, racconti di amici e colleghi pittori.
Michele Tocca: Dal vivo avevo visto solo un piccolo intervento di Fabrizio Prevedello da MARS, a Milano, nel 2010. Ne avevo una conoscenza indiretta, attraverso gli scritti e le parole di Luca Bertolo, Davide Daninos e Gian Antonio Gilli. Poi, alla scorsa edizione di Straperetana, in Abruzzo, ho visto questa roccia incastonata nella parete rocciosa di una cantina, un gesto delicato, mimetico ma testardo. Lì, ho conosciuto anche Fabrizio. È seguita una visita al suo studio, c’era anche Davide Ferri. Non esisteva ancora l’idea della mostra e sono entrato nel lavoro senza altri filtri.
Come avete reagito alla richiesta di una mostra che non fosse una doppia personale ma un racconto con un unico messaggio?
Fabrizio Prevedello: Con gioia. Innanzitutto per l’interesse che Davide Ferri ha dimostrato per il lavoro; perché l’accostamento mi è apparso subito come un terreno franoso, quindi movimentato, intenso; poi per l’opportunità di poter capire, stando vicino a due assidui frequentatori della pittura.
Michele Tocca: Davide Ferri ha concepito la mostra come emanazione, negli spazi della galleria, di ciò che accade dentro e tra le opere, raccontando un movimento dello sguardo che ruota, sale e arriva al basso, poi ricomincia. Non c’è un contenuto univoco. Ma l’andamento della mostra diventa metafora di come guardiamo le cose, la pittura e la scultura, portando a osservare attentamente, a identificarsi nei processi creativi di ciascuno attraverso continue allusioni reciproche tra lavori esposti anche in sale diverse.
In riferimento ai vostri percorsi, credete che nelle opere esposte sia possibile ritrovare dei punti in comune?
Fabrizio Prevedello: Ci sono molti aspetti in comune. Il silenzio, presente in tutte le opere in mostra. Un’intima concentrazione. Alcuni quadri, Michele li ha realizzati all’aperto, in mezzo ai rumorosi movimenti della città, al traffico, ma l’attenzione rivolta al soggetto lo ha isolato, osservando delle superfici (i Fanghi, le Mura), ma superfici che sono varchi di accesso, porte. Almeno così io leggo quei suoi quadri. Ritrovo in molte mie sculture questa stessa attitudine.
Michele Tocca: Entrambi lavoriamo molto nei luoghi, abbiamo un rapporto costante con l’esterno. Credo che anche nel caso di Fabrizio, succeda una strana sovrapposizione tra l’arte e il mondo fisico. Lui vede un blocco di marmo e ci sente Brancusi, ci vede un archetipo per cercare di spiegarsi cosa è successo nella storia e cosa sta succedendo a lui come scultore nel presente. Mi ci rivedo. Su tutte le tangenze che si possono ritrovare guardando la mostra, credo ci accomuni una ferma accettazione dei limiti di un pittore che ama la scultura e di uno scultore che ama la pittura.
Quanto è presente nelle vostre opere la componente del ricordo e quanto è importante per voi la ricerca di nuove esperienze e nuovi stimoli?
Fabrizio Prevedello: L’accumulazione dei ricordi e quindi delle esperienze è imprescindibile. Non intendo rievocare nulla, mi sforzo di far riesistere qualcosa di (per me) meraviglioso. Qualche volta mi restano frammenti di sogni, lì i paesaggi e le architetture sono stupendi. Ecco, vorrei mantenermi in quel tipo di bellezza.
Michele Tocca: Nel mio lavoro, la memoria e la ricerca di nuove esperienze si consumano a vicenda nell’esecuzione. Drying shirt, un pezzo in mostra, è nato inaspettatamente in una giornata di lavoro frustrante, osservando la maglietta zuppa dell’acquazzone che, invano, avevo cercato di dipingere su quella tela. Si vede una maglietta consunta e umida ma prevale comunque uno strano sentore di pioggia. Ogni mio lavoro è un po’ così, un’esperienza a sé, diciamo ‘nuova’ e inaspettata, che porta tracce, riflessioni precedenti.
È molto interessante l’equilibrio tra l’astrazione dei dipinti di Michele Tocca e la concretezza delle sculture di Fabrizio Prevedello. A voi che effetto fa vederli vicini?
Fabrizio Prevedello: Astrazione e concretezza direi si possono anche invertire tra le opere in dialogo. La selezione decisa da Davide Ferri è stata chiara molto presto, dopo alcuni confronti. In mostra mi ha stupito la naturalezza del dialogo tra le opere, ognuna risalta le altre. Un suono piacevole.
Michele Tocca: Mi piace l’idea che il visitatore possa continuamente oscillare, intercambiare i due attributi. Un momento, credere che i miei dipinti siano astratti e le sculture di Fabrizio concrete, un momento dopo il contrario. Diciamo che la mostra offre davvero molto spazio per poter guardare, fare confronti.
Sofia Zin
Info:
Michele Tocca e Fabrizio Prevedello. Verticale Terra
23/04/2021 – 02/07/021
a cura di Davide Ferri
z2o Sara Zanin
via della Vetrina 21, Roma
Fabrizio Prevedello e Michele Tocca, Verticale terra, vista delle istallazioni della prima sala, Ph. Sebastiano Luciano, courtesy z2o Sara Zanin Gallery
Fabrizio Prevedello e Michele Tocca, Verticale terra, vista delle istallazioni della terza sala, Ph. Sebastiano Luciano, courtesy z2o Sara Zanin Gallery
Fabrizio Prevedello e Michele Tocca, Verticale terra, vista delle istallazioni della terza sala, Ph. Sebastiano Luciano, courtesy z2o Sara Zanin Gallery
Fabrizio Prevedello, Sceso da una cava sul monte dentro lo zaino (pensando a Carlo Scarpa che pensava a Costantin Brancusi) (194), 2017, marmo, ferro, acqua, 38,5 x 116 x 197 cm, marmo, alluminio, acqua, Ph. Sebastiano Luciano
Sofia Zin (Roma 1998) ha studiato presso l’università degli studi di Roma Tor Vergata, dove nel 2021 ha conseguito la laurea specialistica in Art History in Rome from Late Antiquity to the present. Appassionata di cinema e letteratura, approda al mondo dell’arte contemporanea dopo aver condotto studi sulla pittura del Cinquecento romano e sull’architettura della Roma antica. Attualmente scrive per Juliet art magazine e partecipa a diversi Crit di collettivi artistici urbani.
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