Lower Est Side, fine degli anni ’70, New York. Questo era il palcoscenico in cui il performer, scrittore, poeta, musicista e fotografo David Wojnarowicz muoveva i primi passi. Il leitmotiv delle serate maledette che il giovane omosessuale trascorreva nel locale “Danceteria” di New York, era rappresentato da una musica sincopata e post-punk, quella che il complesso di cui David faceva parte, i “3 Teens Kill 4”, suonava fino al mattino. La rabbia che David aveva accumulato dentro di sé a causa di un infanzia complessa, trascorsa con un padre alcolizzato e violento ed una madre assente, iniziò a manifestarsi con le prime sperimentazioni musicali del gruppo, abbandonato ben presto da David, dopo averne curato le artistiche copertine, per dedicarsi interamente alla sua arte. Il focus della mostra che il Whitney Museum of American Art di New York dedica a Wojnarowicz è proprio centrato su questo periodo turbolento e disinibito, dalla fine degli anni ’70 agli anni ’90, nella lontana New York aspra e violenta, non ancora completamente trasformata dalla gentrification, la New York dei “Docks” e “Piers” dell’East River.
“VOGLIO CREARE UN MITO IN CUI MI POSSA UN GIORNO TRASFORMARE”
così scriveva David nei suoi diari. Una voglia assoluta di ribellione, di opposizione alle convenzioni sociali che relegavano gli omosessuali ad un angolo marginale della società del tempo. Da quella rabbia, da quella emarginazione e da quella frustrazione parte l’arte di Wojnarowicz inizialmente manifestatasi con la fotografia. Comincia così il suo tentativo di trasportare un personaggio ribelle come Rimbaud, anch’egli omosessuale, nella New York del suo tempo, impadronendosi della sua immagine con la serie di foto “Arthur Rimbaud a New York”. Furono scattate nel 1979 con una macchina 35 mm e benché la maggior parte del pubblico pensi ancora che colui che indossava la maschera fosse sempre David, in realtà furono anche alcuni dei suoi amici ad incarnare il ruolo del poeta maledetto. Un continuo riferimento all’arte e alla letteratura quello che David mette in scena, così come l’omaggio all’artista Joseph Beuys, inserendo in una delle foto della serie appena descritta la massima “The silence of Marcel Duchamp is overrated”.
L’incontro con Peter Hujar nel 1980 cambia completamente i suoi canoni artistici: i due diventano amanti, ma la loro storia avrà vita breve. Hujar sarà però colui che spingerà David a dedicarsi alla pittura, elemento espressivo che egli non aveva ancora sperimentato e la loro amicizia durerà fino alla fine della vita di Hujar, avvenuta nel 1987 a causa dell’Aids. Da questo momento in poi i dipinti di Wojnarowicz diventano colorati e sferzanti, dei veri manifesti contro la società che emargina i più deboli, arrivando a descrivere figurativamente il dramma dell’Aids. Durante gli anni ’80 l’attenzione di David si concentra sui film: filma quasi ininterrottamente tutti i suoi viaggi e nel settembre 1987 la Gracie Mansion Gallery, una delle gallerie più avanguardiste dell’East Village espone i lavori di David con la mostra “The Four elements” che lo consacrò come un vero artista. Gracie Mansion dichiarò di essersi immediatamente resa conto che l’arte di Wojnarowicz era qualcosa di fortemente innovativo. Malgrado i performers alla Marina Abramović fossero già conosciuti in quel periodo e personaggi maledetti come Keith Haring e Jean-Michel Basquiat avessero già la loro notorietà, la personalità ecclettica ed al contempo drammatica di Wojnarowicz lo rendevano assolutamente moderno e sperimentale nel panorama artistico newyorkese, sempre così attento alle novità. Il linguaggio cinematografico diventa preponderante nella sua opera e viene utilizzato come estrema denuncia sociale. Filma e scatta foto del suo amico Peter Hujar dopo la morte, restando solo con lui nella camera d’ospedale in cui morì e continua a rappresentare il terrore dell’Aids con immagini sempre più esplicite di sofferenza e morte. Diventa così attivista dei diritti dei malati di Aids sempre più emarginati e costretti a combattere il loro male in completa solitudine, schiaffeggiando con le sue opere, poesie e scritti la società ipocrita e cieca che si rifiuta di vedere la realtà. In Wojnarowicz è presente un elemento assolutamente contemporaneo di denuncia sociale e di profondità del linguaggio artistico, che va ben oltre il metodo espressivo utilizzato per comunicare con il pubblico. È inoltre evidente quanto la contemporaneità dell’artista rimanga tale anche in questo momento. L’artista e fotografa Emily Roysdon tra il 2001 e il 2007 ha realizzato una serie di foto intitolate “David Wojnarowicz Project” nelle quali, ispirandosi alla serie “Arthur Rimbaud a New York”, pone l’attenzione della società sull’inettitudine della politica e sull’arretratezza della stessa nei confronti del femminismo. Pochi giorni fa le sale del Whitney Museum di New York sono state occupate da alcuni manifestanti appartenenti ad ACT Up, associazione che si batte per i diritti dei malati di Aids, che hanno attuato una protesta pacifica, esposta come una performance, per attirare l’attenzione dell’opinione pubblica sul fatto che l’Aids rappresenti ancora una piaga sociale ed un forte elemento di discriminazione per i malati. David Wojnarowicz voleva creare una mito in cui egli un giorno potesse trasformarsi; alla luce di tutto quello che è avvenuto dopo la sua morte, sembra proprio che il mito si sia realizzato e sia diventato immortale.
Info:
David Wojnarowicz: History keeps me awake at night.
Dal 13 luglio al 30 settembre 2018
Whitney Museum of American Art di New York
DEAD ALIVE – Artforum International Peter Hujar, David Wojnarowicz 1983
David Wojnarowicz (1954–1992), Something from Sleep IV (Dream), 1988–89.
Collezione Luis Cruz Azaceta e Sharon Jacques.
Foto in bianco e nero di David Wojnarowicz. Peter Hujar (1934–1987)
Globetrotter, appassionata di letteratura, amante dell’arte e della fotografia. Non parto mai per un viaggio senza portare con me un libro di un autore del luogo in cui mi recherò. Sogno da anni di trasferirmi a Parigi e prima o poi lo farò!
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