NishiShinjuku (Shinjuku Ovest) è conosciuto come il quartiere dei grattacieli. In questa zona, infatti, sin dai primi anni Settanta, anche in considerazione del fatto che è una delle zone meno sismiche di Tokyo, cominciò il primo massiccio sviluppo urbano della città.
Qui hanno sede grandi alberghi, società finanziarie e assicurative, università e, soprattutto, dal 1991, il Municipio, il Tocho (un progetto di Tange Kenzo che è ormai entrato, grazie anche a manga e anime, nell’immaginario collettivo giapponese come potente simbolo di autorità e resistenza).
Quella di oggi è una passeggiata breve, ma densissima. Una vera oasi d’arte in mezzo al cemento dei palazzi pensata e curata da Fumio Nanjo e Associati nei primi anni Novanta.
Basterà, infatti, seguire il largo perimetro di uno di questi grattacieli, la Shinjuku I-Land Tower, per imbatterci in un piccolo, ma fornitissimo, Museo all’aperto.
Si arriva in questa zona con la Marounochi Line (fermata NishiShinjuku) oppure con la Oedo Line (fermata Tochomae).
Arrivando con la prima e, subito dopo i tornelli, imboccando la vicina uscita a destra si sbuca proprio di fronte a una delle due maestose sculture di Roy Lichtenstein presenti attorno al complesso: il Tokyo Brushstroke II (1993), forti “pennellate” tridimensionali, dal basso verso l’alto, di solido alluminio, in quattro colori primari. E, ovviamente, inconfondibili e immancabili puntini di Ben-Dai.
Cinquanta metri più avanti, sullo stesso marciapiede, la seconda scultura, più grande e più slanciata: Tokyo Brushstroke I (1993).
Con queste opere l’artista trasforma in Statica quello che normalmente è Dinamica, in Duraturo quello che, per sua natura, è Effimero. Cristallizzando col metallo quello che, in verità, sarebbe solo gesto.
Proseguendo il giro dell’edificio si arriva a un incrocio in cui fa mostra di sé un’altra icona della Pop Art, uno dei trentasette esemplari sparsi per il mondo della scultura Love dello statunitense Robert Indiana (opera realizzata sempre nel 1993): lettere maiuscole, disposte in un quadrato con la lettera “O” inclinata. Difficile passarci vicino senza cedere alla tentazione di una fotografia.
Arrivati qui non c’è nemmeno più bisogno di camminare… le opere si susseguono in successione. Si comincia con la ricerca concettuale di Giulio Paolini (di cui ci sono ben quattro opere) Caleidoscopio, Meridiana e Hierapolis, tutte del 1993, a cui si aggiunge il design dell’Orologio Astronomico e si prosegue con I Passi (1994) di Luciano Fabro, scultore e poeta, grande esponente dell’Arte Povera.
Sui levigati blocchi di marmo bianco appoggiati nell’acqua, si legge “I miei Passi hanno bucato il Cielo. I miei Passi hanno bucato la Terra. Io sono Zoppo”, a significare che l’Uomo, nella sua smisurata ambizione, ha spesso, se non sempre, distrutto ogni cosa che ha toccato.
Subito dopo ancora un italiano, e ancora Arte Povera: Unghia e Marmo del cuneese Giuseppe Penone, artista molto noto in Giappone tanto che nel 2014 è stato insignito del prestigioso Premio Imperiale per la scultura. La sua ricerca è una scrupolosa indagine delle interazioni, anche sensoriali, fra corpo umano e ambiente esterno.
Nell’acqua sono anche adagiate le Pleaides, occidentalizzata ibrida riflessione in marmo delle geometrie e della poetica di un giardino Zen, del giapponese Hidetoshi Nagasawa, nato in Manciuria nel 1940 e costretto, al termine del secondo conflitto mondiale, a lasciare bruscamente i luoghi della sua prima infanzia, cosa questa che segnò in maniera molto profonda il suo modo di fare arte. Barche e viaggi sono temi ricorrenti nella sua produzione.
Trasferitosi in Italia nel 1967 (ci giunse dopo un lungo viaggio in bicicletta durato un anno e mezzo, si fermò a Milano perché lì, dopo aver attraversato mezzo mondo, gliela rubarono e a lui sembrò un segno del destino).
Il complesso riserva poi ancora altre sorprese: Wall Drawing # 772 (1994) di Sol LeWitt, Yunus II (1994) del giapponese Katsuhito Nishikawa e Da un luogo all’altro, Da un materiale all’altro, Passaggi dentro e fuori lavoro in situ, Shinjuku-Tokyo (1993-1994) di Daniel Buren.
La passeggiata è finita, perciò, come il Sommo Poeta, possiamo dire: “quindi uscimmo a riveder le stelle”. Ma noi, più fortunati di lui, possiamo farlo anche di giorno, con Le stelle di Tokyo (1994) di Gilberto Zorio che ci attendono proprio lì, sul marciapiede.
L’orologio astronomico, progetto di Giulio Paolini. Ph Lamberto Rubino
Roy Lichtenstein, Tokyo Brushstroke, 1993. Ph Lamberto Rubino
Giuseppe Penone, Unghia e Marmo, 1993. Ph Lamberto Rubino
Luciano Fabro, I Passi, 1994. Ph Lamberto Rubino
Robert Indiana, Love, 1993. Ph Lamberto Rubino
L’amore per l’arte lo ha convinto a farsi imprenditore nel mercato artistico. Gallerista e Art Promoter, ha operato Italia e in Turchia, curando fra l’altro, l’organizzazione di oltre 100 mostre. Dal 2016 si è trasferito a Tokyo.
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