L’atto del vedere è la violenza più contagiosa, la più diffusa, ma al tempo stesso la più nascosta dietro la faccia dell’innocenza. Il problema è stato sviluppato estesamente, tra gli altri, dalla scrittrice statunitense Susan Sontag nel libro “Sulla fotografia. Realtà e immagine nella nostra società” (1977), la bibbia dei fotografi sin dalla sua prima edizione. Qui il flusso di pensieri scritto da Sontag sviluppa le fondamentali tematiche inerenti alla cultura visiva dei nostri tempi. L’autrice affronta questo discorso con semplicità, ed evidenziando che parlare di cultura significa parlare di noi stessi, il testo si allinea diventando universale, empatico e interconnesso. La scrittrice usa il metodo che il Premio Nobel per la letteratura 2018 Olga Tokarczuk avrebbe definito “il narratore tenero”. È intrigante osservare come queste connessioni e influenze culturali siano onnipresenti: Tokarczuk, infatti, nel discorso proferito durante la cerimonia di premiazione, raccontò che l’incontro con la fotografia in bianco e nero di sua madre coincise con il momento della nascita della sua forza di scrittrice.
La presenza dell’occhio innocente è una questione cruciale sin dall’inizio dello sviluppo della cultura visiva, rispetto alla quale sembra appropriato ricordare l’irrisolvibile indovinello “è nato prima l’uovo o la gallina?”. Dal punto di vista puramente fisico, l’occhio forma percezioni rispondendo in modo adattivo all’ambiente in cui abitiamo, comportandosi, dunque, come un “corriere” di messaggi di valenza emotiva neutrale. Ma quando il messaggio viene decodificato dal cervello e diventa palese, l’occhio non può più continuare a essere considerato un messaggero innocente. Da qui derivano tutte le complesse questioni che sorgono in relazione al contesto sociale, cioè, quanto siamo davvero colpevoli quando stiamo “solamente” guardando? Wu Tsang nella personale “There’s no non violent way to look at somebody” (“Non esiste un modo non violento di guardare qualcuno”) al Gropius Bau di Berlino, presenta questa “bomba semantica” con approccio provocatorio, indagando in modo indiretto sia l’atto di guardare che la violenza latente della telecamera.
Nella ricerca di Wu Tsang è centrale la riflessione sul linguaggio: appena entrati nella prima sala della mostra, affrontiamo la scultura “Sustained Glass” (2019). È una larga superficie di vetro trasparente ricoperta di scritte, un oggetto abbastanza arcaico nell’era della circolazione digitale, ideato dall’artista durante la sua residenza al Gropius Bau nell’ambito del progetto “In House: Artist in Residence”. L’uso della parola “house” (“casa”) nel nome della residenza enfatizza l’esperienza incorporata di conoscere l’edificio e le comunità ad esso associate. La luce che passava attraverso le ampie finestre della galleria è diventata una fonte d’inspirazione per Wu Tsang, che invece di coprire il suo vetro con immagini allegoriche come si usava fare in passato, lo riveste con il testo corroso dall’acido, che diventa la metafora della tossicità del linguaggio. L’artista ha trovato in Bavaria uno degli ultimi produttori di vetro artigianale capaci di padroneggiare la tecnica del “flashed-glass”. Questo tipo di vetro viene realizzato rivestendo un piano incolore di vetro con uno o più sottili strati di vetro colorato. Questo metodo non oscura del tutto la luce, ma non consente nemmeno completamente il suo passaggio. Con questo gesto dimostrativo già nella prima sala, l’artista comunica il suo interesse per il linguaggio, oltre che la trasversalità dei suoi atti artistici, così come la preoccupazione per la “trasparenza”, intesa qui in senso letterale, ma non solo. L’artista fa riferimento al “cadavere squisito” dei surrealisti, un metodo o gioco mediante il quale una raccolta di parole o immagini è assemblata collettivamente: ogni collaboratore aggiunge una composizione in sequenza, seguendo una regola o prendendo come riferimento solo la fine di ciò che la persona precedente ha scritto.
Nella superficie enorme e ariosa delle 7 sale del Gropius Bau, Wu Tsang fa dialogare video, sculture, parole scritte, danza, musica e giochi di luce. Il titolo della mostra deriva dal “Sudden Rise at a Given Tune” – il testo di un’omonima performance tenuta alla Tate Modern di Londra il 25 marzo 2017, scritta da Tsang, boychild e Fred Moten (che assieme formano il collettivo “Moved by the Motion”). Le radici dei video documentari dell’artista risalgono alle sue esplorazioni di queer clubs e comunità di attivisti. Nel suo lavoro dedica anche molta attenzione alla vitalità degli spazi sicuri. La performance “Sudden Rise (…)” comprendeva una serie di spettacoli che sfidavano i confini presentando collage di parole, film, movimenti e suoni, in cui si intrecciavano anche il linguaggio e le azioni di alcuni personaggi cardine del ventesimo secolo come attivisti, poeti e pensatori fondamentali per i diritti civili tra cui Langston Hughes, James Baldwin e WEB Du Bois, insieme a testi di Jimi Hendrix e riflessioni di Hannah Arendt.
Nella prima sala, sul vetro, si leggono alcune frasi che si riferiscono al “SHU” (“Security Housing Unit”) – una forma d’isolamento comune nel sistema carcerario statunitense che provoca forte dolore e sofferenza mentale e fisica tra i carcerati. L’isolamento dei transgender in reparti condivisi con detenuti del loro stesso sesso biologico, crea un caso nuovo e perturbante. Inoltre, “SHU” è solo un modo di non impegnarsi per questo problema a livello sociale. L’artista sottolinea che le persone al di fuori del binarismo di genere soffrono la violenza sanzionata dallo stato che crea gravi rischi alla loro sicurezza. “Per me il cinema è uno spazio di verità emotiva, serve per cambiare il modo in cui la gente pensa agli altri”, spiega l’artista.
Nella seconda sala, siamo colpiti da un video ipnotico in slow-motion. Il film morbido e dolce ha come protagonista Fred Moten, abituale partner artistico di Wu Tsang, che ha spesso ribadito l’importanza della collaborazione nel suo lavoro. Il film “Girl Talk” (2015) è un gioco di luci fluenti, suoni rilassanti, riflessi di cristalli, un “Giardino delle Delizie” per l’anima. In primo piano, Fred Moten si muove entusiasticamente e canta lentamente, pieno di gioia, a cappella, gli standard jazz di “Girl Talk” di Betty Carter. Appesi al muro accanto al video troviamo “Gravitational Scansions” (2017), una serie di stampe che riportano messaggi segreti composti da punti e trattini che indicano le sillabe di composizioni poetiche.
La questione dell’opacità emerge dappertutto e parte dal pensiero preminente di Edouard Glissant, che combatteva per il diritto all’opacità per tutti: “è una posizione etica, che riconosce il problema dell’Occidente che richiede <trasparenza> quando davvero tanta esperienza e identità superano la categorizzazione”. Concetti come “SHU” e “opacità” sono elencati e descritti nel glossario nel catalogo della mostra. Propagare conoscenza e coscienza sembra essere la vera missione della mostra. Nella terza sala, il soggetto della ricerca è, appunto, “studiare”. Wu Tsang riconosce il valore educativo del tatto, indaga l’aspetto sensoriale dell’atto di studiare evidenziando come non sia sufficiente leggere libri per imparare e “dare un morso alla saggezza”. L’installazione creata con cristalli appesi dal soffitto evoca la coscienza sensoriale attraverso la mutabilità dei materiali e delle impressioni ottiche – i cristalli sembrano ruotare grazie ai loro riflessi di luce –. Duri e forti, quando si muovono, sembrano attraversare un cambiamento di stato. L’installazione è circondata da foto scattate in estate che documentano il tempo che Tsang e Morten, hanno trascorso assieme studiando, leggendo e creando come un duo di menti affini. Ciò che ci spinge a crescere – sembra dire l’artista – non è lavorare diligentemente sotto al sole, ma porre domande e scoprire processi. In “We hold where study” (2017) esposto nella quarta sala, l’artista non finisce la frase-titolo, lasciandola aperta alle interpretazioni. La grande installazione video collega due schermi, che mostrano persone danzanti mentre si spostano da un ambiente video all’altro. L’opera è stata creata con una fotocamera coinvolta nel movimento, che invece di essere un osservatore rigido, sembra più viva e non lascia che l’approccio (anche in senso metaforico) rimanga fisso.
L’esposizione continua ancora per tre ampie sale. Wu Tsang affronta il tema di vedere con la tenerezza, partendo dal presupposto che il “vedere” stesso può avere un’infinita varietà di significati. Susan Sontag, nel suo secondo libro della serie – “Davanti al dolore degli altri” (2003), mette al centro della sua riflessione non più un fotografo, ma uno spettatore che deve definire il suo atteggiamento nei confronti della visione della sofferenza di qualcuno. Wu Tsang dichiara: “Non mi chiedo più, per chi è questo, come si comunicherà. Cerco solo di dire ciò che sento dev’essere detto, nel modo in cui devo dirlo, e trovo che l’opera si trova nel mondo, va dove deve andare “. (clicca qui per video).
Info:
Wu Tsang. There is no no-violent way to look at somebody
04.09.2019 – 12.01.2020
Gropius Bau, Berlin
Wu Tsang, Sustained Glass, 2019. Installation view There is no nonviolent way to look at somebody, Gropius Bau, Berlin, 2019. Photo: Luca Girardini, courtesy: the artist, Galerie Isabella Bortolozzi & Cabinet
Wu Tsang, One emerging from a point of view, 2019. Installation view There is no nonviolent way to look at somebody, Gropius Bau, Berlin, 2019. Photo: Mathias Völzke, courtesy: the artist, Galerie Isabella Bortolozzi, Cabinet & Antenna Space
Wu Tsang, One emerging from a point of view, 2019. Installation view There is no nonviolent way to look at somebody, Gropius Bau, Berlin, 2019. Photo: Mathias Völzke, courtesy: the artist, Galerie Isabella Bortolozzi, Cabinet & Antenna Space
Wu Tsang, One emerging from a point of view, 2019. Installation view There is no nonviolent way to look at somebody, Gropius Bau, Berlin, 2019. Photo: Luca Girardini, courtesy: the artist, Galerie Isabella Bortolozzi, Cabinet & Antenna Space
Wu Tsang, Safe Space, 2019. Installation view There is no nonviolent way to look at somebody, Gropius Bau, Berlin, 2019. Photo: Luca Girardini, courtesy: the artist, Galerie Isabella Bortolozzi
Wu Tsang, One emerging from a point of view, 2019. Installation view There is no nonviolent way to look at somebody, Gropius Bau, Berlin, 2019. Photo: Mathias Völzke, courtesy: the artist, Galerie Isabella Bortolozzi, Cabinet & Antenna Space
Wu Tsang, We hold where study, 2017. Installation view There is no nonviolent way to look at somebody, Gropius Bau, Berlin, 2019. Photo: Mathias Völzke, courtesy: the artist, Galerie Isabella Bortolozzi
Laureata in Fotografia e Arte della Registrazione Visuale all’Università dell’Arte di Poznan (Polonia) nel 2013. Laureata in Psicologia all’Università di Adam Mickiewicz a Poznan nel 2015. Nel 2018 ha frequentato il corso “Ultime Tendenze nelle Arti Visive” all’Accademia di Belle Arti di Brera. Scrive d’arte per varie riviste in inglese, italiano, francese e polacco. Artista, curatrice e ricercatrice. Nata in Polonia, vive e lavora a Milano.
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