Secondo la filosofia bergsoniana, il cui pensiero teorico è orientato alla misura degli istanti, esistono due tipi di tempo: uno oggettivo e l’altro soggettivo. Il primo è misurato con strumenti universali, mentre il secondo, anche detto durata, è congiunto alla persona che lo interpreta ed è legato all’intuizione e alla memoria. Gli artisti, in genere, uniscono il passato apparentemente immodificabile alla propria visione, per ripensare e reinventare liberamente il pregresso in un racconto personale e identitario. È così che Xu Bing (Chongqing, Cina, 1955) si muove senza limiti sulla linea del tempo oggettivo e sulla durata, abbracciando la visione per cui tutte le età storiche possono diventare contemporanee. In particolare, nella mostra A Moment in Time: Xu Bing in Rome, ideata per l’American Academy di Roma e visitabile sino al 29 giugno 2024, l’artista manipola il concetto di durata attraverso un atto di comparazione e reinterpretazione storica di un luogo archeologico. In questo modo il progetto che ne deriva si pone come una chiara evidenza, giungendo alla suggestiva conclusione che si può essere contemporanei senza perdere il filo della storia, soprattutto unendo diversi aspetti, quali il valore del tempo, della durata, di ciò che rimane, e in particolare la questione dell’opera d’arte intesa come manufatto scenico.
Quanto proposto all’American Academy è un’installazione eseguita con una pratica di ricalco, tipica dalla dinastia cinese Han (202 a.C. – 9 d.C., 25- 220 d.C.), su un antico tratto della Via Appia risalente al 312 a.C. Attraverso questa tecnica di frottage si toccano questioni di norma legate alle immagini e al loro valore iconico, per cui Xu Bing espone qualcosa che è visibile in altro luogo, facendocelo emergere come una maestosa veronica[1]. Difatti l’artista riporta fisicamente il lastricato dell’antica via romana come se dovesse trascriverne la geografia visiva. Tuttavia, anche se il metodo che utilizza rasenta l’aspetto puramente meccanico, non viene tralasciato il legame temporale e fisico tra il luogo archeologico e lo spazio allestitivo, sì da unire diverse durate: il passato storico di una città e la sua contemporaneità. Ed è proprio questa natura dialogica ad alimentare un’ambiguità nei confronti del lavoro che non deve spingerci a considerarlo come una riproduzione mimetica, bensì un riverbero capzioso di questo ideale.
Nonostante gli ambienti allestitivi dell’American Academy siano di ridotte dimensioni, le opere mantengono appieno e splendidamente il loro assetto scenografico. Ciò permette di porre in secondo piano il contesto reale per vivere nelle stanze semibuie la suggestiva esperienza di un paesaggio monumentale. Dalla monotonia cromatica della tecnica del frottage, dal tocco leggero e ritmico, si riconoscono con chiarezza il profilo delle erbe schiacciate, le sagome dei mattoni dell’Appia, in quanto fedele ricostruzione in scala di antichi spazi in epoca contemporanea. Xu Bing, in altri termini, opera per mimesis, ovvero per imitazione e somiglianza verso un campo architettonico trasformato in un’ambientazione totale che trova sviluppo nella discrepanza tra la semplicità dei mezzi materiali utilizzati e la forza dell’effetto della loro dissoluzione visiva, rendendo così l’atmosfera vibratile e gassosa.
Inoltre, l’artista per discostarsi dalla formalità delle tecniche accademiche e agendo per imitazione, genera un’opera monumentale all-over, pur sempre attivando il proprio sguardo severamente critico. Sono pertanto mostrate le proprietà intrinseche dei materiali, come la carta, l’inchiostro e le puntine che mantengono unito il lavoro, mostrandone il peso, la densità, le difficoltà tecniche. L’opera nel suo complesso risulta frutto di una controllata costruzione attraverso principi scientifici, per cui le fratture spaziali tra i fogli di carta sono attentamente calibrate al fine di creare la corretta combinazione per la ricostruzione degli spazi archeologici. Sono proprio le materie prime a raccontare la loro storia, poiché le carte, se viste da vicino, mostrano le sembianze di un’epidermide rettile, vagamente screpolata, lasciandoci immaginare il piacere al momento del dispiegamento dell’antica tecnica cinese. Formidabili sensazioni che hanno certamente avvertito sia l’artista sia la squadra di collaboratori provenienti dall’Accademia di Belle Arti, dall’Istituto Europeo del Design di Roma e dalla Hang Seng University, così come dalla City University of Hong Kong.
Considerando che tale metodica di lavoro non rappresenta una novità per l’artista, essendo da lui praticata dal 1988, questa volta, più che nei trascorsi interpretativi, la ripetizione modulare dei fogli crea una situazione percettiva pari a un teatro dell’ambivalenza. È così che la posizione assunta dallo spettatore nello spazio equivale all’appropriazione di un corpo storico e sociale. Tuttavia, l’opera fa emergere anche il valore malinconico del lavoro, non volto a spettacolarizzare il passato, bensì indirizzato a tracciare lo scorrere del tempo, riportandone tutti i cambiamenti. L’interpretazione critica che ci restituisce Xu Bing non è universale: vuoi per la disciplina progettuale che restituisce un luogo secondo nuove coordinate di riferimento, vuoi per il sentito impatto fisico e visivo per cui l’osservatore entra in maniera molto libera nella sua rappresentazione. Così, anziché i termini “tempo” e “momento”, di cui al titolo del progetto, sembra più opportuno far ricorso al concetto di durata attorno a cui Xu Bing muove una singolare antinomia, che realizza un modello la cui scientificità si apre ai canoni dell’imperfezione.
Maria Vittoria Pinotti
[1] Veronica è il termine dell’icona che raffigura il volto di Cristo. Secondo Veronica la tradizione cristiana è il nome della donna che vedendo Gesù che trasportava la croce e il suo volto sporco di sudore e sangue, lo deterse con un panno di lino su cui sarebbe rimasta l’impronta del viso di Gesù.
Info:
A Moment in Time: Xu Bing in Rome
22/06/2024 – 29/06/2024
American Academy in Rome
Via Angelo Masina 9, 00153 Roma
Orari di apertura: dal giovedì al sabato, dalle 16.00 alle 19.00
www.aarome.org
Maria Vittoria Pinotti (1986, San Benedetto del Tronto) è storica dell’arte, autrice e critica indipendente. Attualmente è coordinatrice dell’Archivio fotografico di Claudio Abate e Manager presso lo Studio di Elena Bellantoni. Dal 2016 al 2023 ha rivestito il ruolo di Gallery Manager in una galleria nel centro storico di Roma. Ha lavorato con uffici ministeriali, quali il Segretariato Generale del Ministero della Cultura e l’Archivio Centrale dello Stato. Attualmente collabora con riviste del settore culturale concentrandosi su approfondimenti tematici dedicati all’arte moderna e contemporanea.
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