Yasmine Helou è una figura fuori dagli schemi tradizionali per quanto riguarda la pratica curatoriale. Sarà anche per questo, che in molti addetti ai lavori nella laguna veneziana la segnalano come la curatrice più interessante tra le nuove leve. Yasmine non si può etichettare, quello che la spinge è la sua immensa voglia di conoscere e mettersi in gioco, e questa sua peculiarità, a mio avviso, la porterà lontana. Prima che partisse per il Messico per un progetto da lei curato, ho avuto la possibilità di intervistarla.
Francesco Liggieri: Come faccio sempre, vorrei iniziare questa conversazione chiedendoti di descriverti attraverso un’opera d’arte
Yasmine Helou: Il bar delle Folies-Bergère di Manet… Scherzo, però ho questo sogno più o meno segreto di avere un giorno un locale dove poter far ballar la gente. Forse è per questo motivo che spesso i vernissage che organizzo finiscono in festa! Un’opera che mi definisce potrebbe essere l’installazione di Simone Fattal, Breeze over the Mediterranean Sea. Mi considero molto mediterranea, mezza italiana, mezza libanese, sono cresciuta tra Beirut e Roma, e adesso vivo su un’isola in questo stesso mare, punto d’incontro tra Oriente e Occidente. Inoltre, questa installazione parla di Pompei, un luogo mistico dove una moltitudine di culture mediterranee sono rimaste fissate in un tempo che non esiste, coabitando per sempre nel limbo quasi impossibile dell’armonia nella differenza.
Per te l’arte contemporanea ha già detto tutto o ci si può aspettare qualcosa di nuovo?
L’arte contemporanea segue un’evoluzione strana, esattamente come l’umanità in generale, ci si può quindi aspettare sempre cose nuove, basta che siano buone. Ora ci troviamo in una fase di sperimentazione totale, a livello artistico, tecnologico, e politico. La storia e la storia dell’arte non si fermeranno.
A tuo avviso, cosa ancora non funziona nel panorama artistico/culturale italiano?
Penso che i giovani ed emergenti artisti, curatori e creativi non siano abbastanza sostenuti dalla politica culturale italiana e dalle istituzioni. Ma questo è scontato! In un certo senso questo li rende molto resilienti, contribuendo a creare una scena culturale underground molto interessante ed estremamente dinamica, però, allo stesso modo, questa situazione spinge le nuove realtà culturali a fuggire dall’Italia, per trovare rifugio dove il panorama artistico è più accogliente. Bisognerebbe dare più spazio a idee rivoluzionarie e alle nuove generazioni, puntando sempre all’avanguardia, seguendo un sistema di meritocrazia e non solo di networking.
Quando hai capito che volevi fare parte del mondo dell’arte contemporanea?
Non lo so, ho sempre avuto diverse passioni: storia, storia dell’arte, lirica, teatro, scienze politiche. Non penso di aver veramente deciso di studiare per far parte del mondo artistico/culturale… è capitato. Adesso non mi vedo fare altro, ed è anche il motivo per cui rimango a Venezia, voglio continuare a promuovere l’arte contemporanea per tutti, e non solo in tempi di Biennale.
Quali sono tre mostre che hai curato che possono descrivere il tuo lavoro?
Il mio lavoro è molto eclettico, ma direi che il fil rouge che lo dirige è il fatto che preferisco quasi sempre lavorare con artisti più o meno della mia generazione, questo mi concede la possibilità di conversare e crescere filosoficamente insieme, provando sempre a creare ambienti, situazioni e spazi immersivi. Ci sono temi che mi sono cari, e, ad esempio, poter portare a Venezia il lavoro di Jasmine Abu Hamdan, con Hakawati Retold, mi ha resa molto orgogliosa. La mostra consisteva in una riproduzione del panorama sonoro del mercato di Aleppo (oggi sparito per via della guerra in Siria), che permetteva di rivivere un patrimonio tangibile tramite il suo patrimonio intangibile, ossia quello delle storie registrate presso il mercato. Un’altra mostra che ricordo con piacere è Troubled Waters, prima mostra personale di Jacopo Zanessi. Potergli dare lo spazio giusto, a Venezia con lavori su Venezia, per finalmente esprimersi dopo diversi anni di conversazione è stato veramente gratificante. Meteora, il suo progetto presentato per la prima volta in questa mostra, è stato poi selezionato da Biennale College Cinema per sviluppare un’opera cinematografica in realtà virtuale. Puoi immaginare l’orgoglio a essere stata una delle prime a credere in questa idea!
Sono anche abbastanza contenta dell’ultima mostra da me curata, Omnibus, a Città del Messico, presso Art House Project, durante la settimana dell’arte. Ho avuto modo di presentare diversi artisti internazionali (Alfred Tarazi – Libano, Lily Moebes – Stati Uniti, Zahra Bundakji – Arabia Saudita, Thomas Mendonça – Francia, Mateo Revillo – Spagna) con cui avevo già lavorato, creando un unicumnella varietà. L’esposizione nel complesso era un vero e proprio miscuglio di idee, bilanciato da una volontà di interrogare concetti politico/estetici, e di mettere in evidenza tematiche molto contemporanee.
La pandemia come ha influito nella tua professione?
La pandemia ha bloccato la produzione fisica di mostre e progetti culturali, ma mi ha fatto riflettere sulle alternative. Ho scritto tantissimo durante questo periodo, e ho avuto poi modo di organizzare Alwan Li Beirut/Colors for Beirut, una campagna di fundraising online per ricostruire gli spazi culturali distrutti dall’esplosione del 4 agosto 2020 a Beirut. Così, sono riuscita a dare visibilità ad alcuni artisti libanesi aiutando a ricostruire un lato essenziale della città. Quando la vita è tornata più o meno alla normalità, ho avuto tutto d’un tratto numerosi progetti da seguire. Il 2021 è stato un anno davvero produttivo, ho ripreso gli spazi di Venice Art Projects, nel quartiere di Castello, e creato un vero programma di mostre ed eventi.
Secondo alcuni addetti ai lavori in laguna, sei una di quelle figure che farà tanta strada. Tu come ti vedi nel futuro?
Per rispondere alla tua domanda, come ho detto prima, ho l’impressione che le cose semplicemente capitino, un po’ dal nulla e un po’ perché mi dedico tanto al mio lavoro e al mondo culturale veneziano.
Se tu potessi prendere parte a un periodo storico dell’arte, quale sceglieresti?
Non è una domanda semplice. Avrei voluto essere amica di moltissimi geni del mondo dell’arte, ad esempio sono sicura che le feste di Andy Warhol fossero epiche! Scherzi a parte, sono contenta di vivere nel XXI secolo, è un periodo importante per le donne, e penso che in un’altra epoca fosse molto più difficile farsi strada in un mondo di uomini egocentrici e misogini. Detto ciò, avrei comunque voluto seguire gli happening di Fluxus, dare uno schiaffo a Picasso, avere un corso accelerato di art market con Leo Castelli ed essere amica di Lee Krasner, Mondrian e Artemisia Gentileschi. Comunque, tutti i periodi della storia dell’arte sono entusiasmanti, ma sono felice di vivere questi anni, anche se ho ancora un po’ di difficoltà a capire gli NFTs.
Info:
Yasmine Helou
www.yasminehelou.com
Yasmine Helou, courtesy di Yasmine Helou
Hakawati Retold, courtesy di Jasmine Abu Hamdan
Mostra Troubled Waters, courtesy di Yasmine Helou
Thomas Mendonca e Lily Moebes nella mostra Omnibus, Arthouse Project, courtesy di Yasmine Helou
Artista e curatore indipendente. Fondatore di No Title Gallery nel 2011. Osservo, studio, faccio domande, mi informo e vivo nell’arte contemporanea, vero e proprio stimolo per le mie ricerche.
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