Ydessa Hendeles: Grand Hotel

La mostra Ydessa Hendeles: Grand Hotel risponde al tema della 60esima Biennale Arte di Venezia riflettendo su diaspora e migrazione, interrogandone i valori culturali trasmessi tra generazioni tra passato e presente. Pratiche site-responsive connotano l’approccio dell’artista Ydessa Hendeles e del curatore Wayne Bearwaldt, posizionandosi in modo sensibile nella cornice di Spazio Berlendis, a Venezia. In mostra, l’artista presenta una scena politica primordiale che, al di là di ogni specifica determinazione storica, si colloca tra memoria d’archivio e immaginazione simbolica, offrendo un contributo familiare e fittizio sulla condizione perpetua che la comunità ebraica ha affrontato. Utilizzando registri differenti come suono, oggetti trovati, documentazioni d’archivio, pittura, film, assemblaggio scultoreo e installazioni, la pratica di Hendeles suggerisce una lettura intergenerazionale sulla complessa questione relativa all’identità ed eredità storica di questo popolo attraverso un posizionamento etico. Un rigoroso approccio filologico informa le sue Note, un’appendice documentaria alle opere in mostra che nel mettere in discussione la verità storica, apre ad altre storie troppo spesso rimaste opache.

Ydessa Hendeles, “Grand Hotel” (detail), 2022. Family-album photograph, “Sommer 1946” (gelatin silver print, with hand-written annotation in ink on recto, original print: 6 x 9 cm). Collection of Ydessa Hendeles. Courtesy the Artist. © Ydessa Hendeles

Hendeles esordisce imbastendo un discorso genealogico e biografico attraverso il tono affettivo che connota l’immagine Family Album Photograph, 1946, un ritratto di famiglia scattato dopo la liberazione del campo di Auschwitz e prima dell’immigrazione della famiglia a Toronto nel 1951, che accoglie e conclude la scena espositiva. La produzione dell’artista polacco-canadese, discendente di una stirpe di rabbini e studiosi del Talmud, figlia unica di sopravvissuti ad Auschwitz appartenenti alla comunità ebraica di Zawiercie, in Polonia, emigrata con la famiglia in Canada nel 1951, è senza dubbio permeata di ricordi affettivi sublimati in termini di fantasia.

Ydessa Hendeles, “Goose!” (still), 2023. Video with sound. Found documentary footage, March 1939, from Munkács, Hungary. Sequence of moving images, looped and paired with a recording of “Oyfn Pripetchik,” a Yiddish folksong published in 1899 by Mark Warshawsky (1848–1907), performed by Michał Hochman (Polish-American, 1944–2024). Display dimensions: 36 x 65 cm (14 x 25 inches). Courtesy the Artist. © Ydessa Hendeles

La voce fuori campo che guida lo spettatore nella mostra recita l’antica canzone yiddish intitolata Dem Alef-Beys (L’alfabeto), conosciuta anche come Oyfin Pripetchick, scritta da Mark Markovich per connotare l’epoca precedente all’Olocausto. Esprimendo l’apprendimento di una lingua secolare e di un destino condiviso, la voce scolpisce e modella la vista del filmato d’archivio, Goose! (2023), composto da filmati tratti dall’artista da un documentario girato nell’ex Munkàcs, ora Mukachevo, Ucraina, nel marzo 1939. Come spesso nelle pratiche di Hendels, il film comporta un circuito concettuale con il dipinto Village Merhants; Street of Yarmalynsti in Polonia (1897) dell’artista ucraino-russo Franz Roubaud, che in modo simile raffigura un villaggio di mercanti ebrei in Ucraina durante il dominio imperiale russo, funzionando come una finestra su un passato remoto e indefinito. Ripetizione e realismo sono gli elementi chiave del dilemma suggerito dall’artista, che si interroga sulla storia e sul destino attraverso la rappresentazione pittorica e filmica. Simmetricamente, Hendeles mostra un anacronismo che riporta lo spettatore all’era post Olocausto: un vecchio modello di Volkswagen Tipo 1 con lo stemma raffigurante un castello a due torri chiuso da un cancello trasporta due bauli da viaggio “da auto” e un set da picnic firmati Louis Vuitton, un assemblaggio di object-trouvè che rileggono il viaggio della famiglia dell’artista a Toronto come simbolo di speranza e libertà.

Portrait of Elizaveta Petrovna, Empress of Russia (1709-1762; reign 1741-1762) after Louis Caravaque, ca. 1750, oil on canvas in a period giltwood and plaster frame; Portrait of Nicholas I, Emperor of Russia (1796-1855, reign 1825-1855), 1839 after Franz Kruger, painted by Lt. Rosenberg, a military artist, active mid-19th c., oil on canvas in period frame in gilded wood and plaster; Portrait of Alexandra Feodoronova, Empress Consort of Russia (born Princess Alix of House by Rhine, 1872-1918, reign: 1894-1918). Hand-coloured photograph, 1895, ca. in a vintage oval mahogany wood frame, gift to dignitaries. Original connotation of photography, by Alexander Ivanovich Pasetti, 1894. Ydessa Hendeles, “Grand Hotel”, 2022. Photo: Robert Keziere. Courtesy the Artist. © Ydessa Hendeles

Rinnovando il dilemma tra storicità e destino, l’artista mette in scena una triangolazione di ritratti. Nel primo, raffigurante l’imperatrice di Russia Elizaveta Petronova, 1750, Hendeles si sofferma sul lusso che contraddistingue gli stemmi araldici, la parure di gioielli e i pendenti incastonati da perle barocche della sovrana per mettere in atto un anacronismo fantastico. La protagonista regale incrocia lo sguardo del ritratto dell’imperatore Nicola I, 1839, regnante e autocrate ricordato per il suo contributo militare nella Polonia controllata dai russi e, in particolare, per i suoi severi decreti militari rivolti alla comunità ebraica in questo territorio. Il dipinto è esposto vicino a un Gentlemen’s Toiletry Case che funziona in mostra quale dispositivo di rispecchiamento di ritratti e immagini. Di fronte siede il ritratto di Alexandra Feodorovna, 1895, ultima imperatrice russa deceduta durante la Rivoluzione, simbolo della fine dell’impero e della sua influenza nei territori confinanti. Complessivamente i tre ritratti alludono alla messa in discussione del potere e della sovranità, aprendo attraverso una mise-en-abyme, una scena frammentata di immagini e storie ancora non raccontate. La mostra prosegue con uno scenografico assemblaggio di lussuosi armadi, bauli da viaggio e cimeli, esposti come installazioni scultoree. Si tratta di oggetti da collezione intrisi di ricordi affettivi e insegne, culminando nell’immagine ripetuta della Family Album Photograph, 1946. Attraverso questa operazione, Hendeles suggerisce come attingere da oggetti, testi e immagini in assenza per suggerire nuove memorie e significati. Il suo è un metodo di archiviazione che evoca storie di diaspora e migrazione al fine di perpetuarne i valori culturali e l’eredità.

Ydessa Hendeles, “Grand Hotel” (installation view detail), 2022. Photo: Ricardo Okaranza Sáez de Arregi. © Richardo Okaranza Fotograf

In conclusione, fantasia e finzione si congiungono nel modello architettonico Grand Hotel, del XIX secolo, che si colloca tra questi circuiti affettivi e intellettuali funzionando come spazio interiore e dimora. Modello culturale europeo consolidatosi alla fine dell’Ottocento, il Grand Hotel, in quanto dimora opulenta seppur temporanea, ha gradualmente sostituito la funzione dei palazzi nobiliari. Hendeles mostra come simbolicamente il Grand Hotel possa essere assunto come un modello immaginario per riflettere sulla condizione di spaesamento identitario e culturale. Gli effetti effimeri e diffusi della proiezione di luce dell’installazione trascendono qui qualsiasi determinazione storica, riflettendo i valori dell’ospitalità e della speranza come un’illuminazione. In questa visione, la mostra Ydessa Hendeless: Grand Hotel stabilisce una scena politica primordiale per pensare a come le promesse del passato modellano il nostro presente individuale.

Info:

Ydessa Hendeles: Grand Hotel
Evento Collaterale della 60esima Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia
A cura di Wayne Baerwaldt
Spazio Berlendis, Venezia
20/05 – 24/11/2024
www.spazioberlendis.it


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