Il merito principale della Fondazione Elpis con l’esibizione YOU ARE HERE. Central Asia è quello di delimitare il perimetro di una mattonella sulla quale ricostituire, per qualche tempo, un’autonarrazione di popoli e terre che sono stati per lungo tempo del tutto assenti dal paesaggio artistico internazionale. All’interno di questo merito ne sussiste uno ulteriore, quello di avere affidato l’esibizione a due curatrici provenienti dalle medesime aree degli artisti, che incarnano altresì la trasversalità generazionale messa in scena: Dilda Ramazan, classe 1993, originaria del Kazakistan, e Aida Sulova, nata nel 1979 in Kirghizistan.
Mi è capitato di leggere, ma non ricordo dove, che per fare arte serve molto tempo libero. La nozione di ‘tempo libero’, in questo caso, non riguarda la vacuità d’impegno; piuttosto è confacente al lungo periodo di silenzio che le nazioni dell’Asia centrale hanno attraversato, prima entro le barriere stringenti dell’orbita sovietica e poi durante il travagliato periodo di edificazione di un’identità nazionale. Il ‘tempo libero’ costretto e contraddittorio vissuto dal Kazakistan, dall’Uzbekistan, dal Kirghizistan e dal Tagikistan si traduce, ora che finalmente ha trovato le crepe per gettare allo scoperto i propri germogli, in una primavera rigogliosa, intimamente complessa e desiderosa di difendere questa complessità da tutti i codici che non siano i propri. In maniera analoga ad altri fenomeni che stanno scuotendo un’arte che arranca sempre più nel trovare le ragioni della centralità occidentale -tornano alla mente alcuni dei tentativi di istituzionalizzazione di queste tendenze tentate all’ultima Biennale d’Arte di Venezia – le correnti artistiche dell’Asia centrale si fanno testimoni di soggettività più o meno popolari, marginalizzate ma non per questo subalterne, che ora rivendicano la propria necessità e la propria esplosiva originalità, frutto, forse, del lungo silenzio entro il quale sono venute in essere.
YOU ARE HERE. Central Asia si svolge sui tre piani della Fondazione in un racconto che non individua un inizio o una fine. A sottolineare questa circolarità è una delle opere più riuscite dell’esibizione. Horizontal Line from the series Öliara: The Dark Moon di Gulnur Mukhazanova costeggia la scala dal seminterrato fino al primo piano in forma di un ricamo lussureggiante di tessuti sintetici tenuti insieme con spilli, a sottolineare quanto facilmente la narrazione storica possa essere dissimulata e riscritta. Nurbol Nurakhmet con Never Touch the Ground sceglie di dipingere su ottone, un materiale dal quale la pittura può essere rimossa senza lasciare traccia, proprio come le impronte della storia da una narrazione nazionale. Vyacheslav Akhunov decostruisce la memoria per mezzo di violente cancellature su testi e immagini; la sua apprendista e collega Ester Sheynfeld raccoglie la polvere risultata dalle cancellature e la conserva compostamente dentro piastre di Petri.
Non è difficile individuare nelle possibilità di riscrittura della storia uno dei topoi della mostra. Gli fa da contrappunto e complemento il tema dell’incertezza insita nell’esperienza della migrazione. Figure, i migranti, che ricoprono un ruolo essenziale nell’economia degli stati dell’Asia centrale, arrivando a costituire, come sottolineano le curatrici, la fonte di un terzo del PIL del Kirghizistan. Marina Bagarzali crea una linea di supporto emotivo per espatriati; il collettivo Qizlar propone una serie di video performance registrate su Telegram, esplodendo il proprio luogo di origine, Tashkent; Marat Rayimkulov riflette sulla condizione di nomade contemporaneo per mezzo di animazioni minimaliste. Kasiet Bekchanov in Looking for You ragiona sulla possibilità di immaginare un contesto ormai distante, combinando ricordi e archivi digitali; Chyngyz Aidarov si serve di materassi usati, ottenuti mediante baratto, per una performance che misura in questo spazio la disumanizzazione dei migranti, ai quali resta il sonno come unico tempo libero (il toshok, il tipico materasso kirghiso, è anche al centro dell’installazione di Munara Abdhukakharova). Infine, nella notevole The Wall di Alexey Rumyantsev, i labili legami dei migranti con la loro terra d’origine, lettere e telefonate, diventano la metaforica malta di un muro e, discretamente, s’insinuano nello spettatore come fra i mattoni.
Molti altri sono i percorsi che si potrebbero tentare intorno alle opere di questi ventisette artisti – metaforicamente restituiti dai labirinti di Emil Tilekov – che sono stati invitati a calcare la propria presenza nella maniera più autentica e meno esotizzante possibile. Dalla sorprendente scenografia di Aika Akhmetova che apre la mostra insieme al marcatore di rilevamento di Rashid Nurekeyev si dirama una serie di letture parallele: la tradizione pittorica senza intromissioni in Temur Shardemetov; l’ereditarietà tradizionale in Said Atabekov, e specialmente femminile in Aïda Adilbek, Kasiet Jolchu e Sonata Raiymkulova, con la sua carica di rabbia in Zhanel Shakhan; la costituzione di un’identità nazionale in Anna Ivanova, Yerbossyn Meldibekov e Saodat Ismailova (visibile anche con un’esibizione notevole all’Hangar Bicocca); le divagazioni sul tema naturalistico di Ulan Djaparov e religioso di Bakhyt Bubikanova. Completano il quadro le performance di Daria Kim e Jazgul Madazimova.
La selezione di artisti è generosa e l’eterogeneità della proposta può risultare forse disorientante; non si può negare che sia perfettamente riuscito l’obiettivo di offrire una panoramica quanto più compiuta sulle tendenze artistiche che animano una sezione del globo che sta riaffiorando sulle scene da meno di una trentina d’anni. La mostra si fa compendio della primavera esondante di cui sopra, restituendo anche, incidentalmente o meno, il disorientamento dell’implosione degli stati nazione e della migrazione. La commovente, sottile sopravvivenza del fare artistico attraverso le ingiurie della storia resta la stella da seguire per orientarsi, come l’indicazione YOU ARE HERE sulle mappe dei centri commerciali.
Kamil Sanders
Info:
AA.VV. “YOU ARE HERE. Central Asia”
24/10/2024 – 13/04/2025
Fondazione Elpis
via Lamarmora 26, Milano
www.fondazioneelpis.org
Nato nel 1998 a Venezia, dopo avere conseguito la maturità classica si trasferisce a Milano dove frequenta l’indirizzo di pittura dell’Accademia di Belle Arti di Brera. Nel 2023 pubblica il suo primo testo saggistico per la collana Calibano di Prospero Editore: “Tradizione e Trasgressione. Note dall’India per un’arte indipendente”. Nel 2024 vince il premio Europa in Versi Giovani, al quale seguirà la pubblicazione nel 2025 della sua silloge “sillabario del terribile incanto” per Quaderni del Bardo Editore. Attualmente frequenta il biennio di Arti Visive e Studi Curatoriali alla Naba di Milano.
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