Venezia è, tra le città d’arte italiane, forse l’unica in cui le emergenze del presente globalizzato, inestricabilmente incarnate nelle vestigia di un passato sontuoso, hanno continuato a ispirare ad artisti e scrittori mitologie e suggestioni altrettanto iconiche di quelle connesse alla sua irripetibile identità storica. Le grandi navi veloci che violentano il paesaggio, gli allagamenti, l’invasione turistica, l’inquinamento delle acque, il progressivo abbandono dei residenti, l’immondizia a cielo aperto e la subsidenza che rischia di farla sprofondare, oltre ad acutizzare problematiche di degrado sociale comuni a tanti altri luoghi di conflittuale transizione tra passato e presente, sono ancora oggi fonte di infinite fascinazioni visive che, nutrite da un contesto così unico, riescono a tradursi in visioni emblematiche del disagio dei nostri tempi senza intaccare l’impeccabile, dolorosa bellezza che costituisce il tratto più distintivo dell’anima del luogo.
Il video artista e film-maker Yuri Ancarani (Ravenna, 1972) è partito proprio da queste impressioni per realizzare il film Atlantide, mostrato in anteprima nella sezione Orizzonti della Mostra del Cinema di Venezia nel 2021 e, a seguire, in numerosi festival internazionali, che ora è il fulcro della mostra in corso nella Sala delle Ciminiere del MAMbo. Il lungometraggio è qui presentato al termine di un percorso immersivo di videoinstallazioni inedite in cui si rifrangono e si moltiplicano gli immaginari legati al destino della città e dei suoi abitanti, che nel film traspaiono come in controluce nelle rarefazioni narrative di una vicenda umana e di una colonna sonora mozzafiato.
Il titolo Atlantide, dal nome dell’isola leggendaria che gli dei fecero sprofondare in mare «in un singolo giorno e notte di disgrazia», menzionata per la prima volta nel IV secolo a.C. da Platone nei dialoghi Timeo e Crizia, oltre a evocare il sommovimento geologico di origine antropica che più mina la sua sopravvivenza, universalizza questo sprofondamento estendendolo a quello degli adolescenti che la abitano in un baratro di relazioni degradate, irreversibilmente segnate dal disgregarsi del tessuto sociale e dell’integrità ambientale. I protagonisti del film sono ragazzi dell’isola lagunare di Sant’Erasmo, di cui l’artista, avvezzo a lavorare all’intersezione tra cinema documentario e arte contemporanea, ha seguito a distanza ravvicinata le vite, addentrandosi in prima persona nel loro quotidiano fatto di feste, rivalità, relazioni sentimentali e sfide di coraggio.
La ricerca si concentra sul fenomeno delle gare illegali con il barchino, una sorta di rito iniziatico (che per i giovani maschi sancisce il passaggio all’età adulta) incentrato sulla elaborazione di motori sempre più potenti, che trasformano piccoli motoscafi in pericolosi bolidi da competizione. Quasi tutti i personaggi sono non-attori, di cui l’artista ha ripreso abitudini e dialoghi reali come in un’inchiesta giornalistica, il cui tema gli è stato inizialmente suggerito da un articolo del New York Times, che allertava i turisti sulle aggressive baby gang in cui sarebbero potuti incappare a Venezia, e da alcune notizie di cronaca locale relative agli incidenti mortali connessi a questa pratica.
L’intento di esplorare ambiti poco visibili del quotidiano, su cui i media ufficiali e la stessa opinione pubblica operano processi più o meno intenzionali di rimozione, porta l’artista a elaborare una potente apologìa negativa della marginalità, in cui la prorompente emersione delle radici più intime e pure del disagio ne sublima l’essenza fino a farle assurgere a manifestazioni delle nuove passioni tragiche suscitate dalle irrisolte conflittualità della nostra epoca capitalistica e globalizzata. Le vicende di Daniele, Maila, Alberto e dei loro coetanei si stagliano sullo sfondo di una Venezia magnificente e a tratti semi-deserta (parte delle riprese sono state effettuate in periodo pandemico), le cui sembianze vengono rilette anche dal punto di vista estetico in chiave contemporanea.
A partire dalle luci stroboscopiche dei barchini (su cui di notte i giovani percorrono i canali) che, proiettate a intermittenza sulle facciate dei palazzi storici, ne stravolgono psichicamente le architetture, per culminare nel finale, dove una lenta processione di motoscafi si tramuta in un naufragio dello sguardo in un gioco di rispecchiamenti e sdoppiamenti del paesaggio ripreso dal punto di vista dei naviganti nel riflesso dell’acqua, Venezia sembra rinascere dalle ceneri di sé stessa e riaffermare l’imperturbabilità del proprio mito. Ma, questa volta, la riaffermazione non si traduce in una nuova immagine ufficiale pronta per essere fagocitata (e venduta) al migliore offerente, quanto piuttosto in una riappropriazione dei luoghi da parte delle generazioni autoctone più giovani, colte nei loro risvolti di maggiore fragilità, che ne condividono la stessa endemica malattia e l’incerto futuro.
Le impressioni “ambientali” del film si dilatano e si precisano nelle video installazioni che abitano la Sala delle Ciminiere del MAMbo e le stanze attigue, completamente oscurate in modo da farle emergere come monumentali visioni oniriche, sospese in uno spazio-tempo titanico, ma drammaticamente ancorate alla contemporaneità. Qui troviamo sia lavori più direttamente derivati dall’interesse documentaristico di Ancarani rispetto a Venezia (come, ad esempio, le riprese della manifestazione contro le grandi navi in cui dettagli ravvicinati dei poliziotti in tenuta anti-sommossa contrastano con quelli degli inermi partecipanti, quelle di un rave in laguna dove il lento passaggio di queste gigantesche imbarcazioni ha l’effetto di una quinta teatrale scorrevole che si sovrappone al profilo dei palazzi antichi o il video-racconto del trasporto in barca di un elettrodomestico da Burano a Rialto, visto tramite i movimenti di una cimice sulle funi di fissaggio) e sia opere ispirate ai retroscena emozionali dei personaggi, come la lunga sala a destra attraversata da un dedalo di luci laser in cui si susseguono a parete riprese notturne dei palazzi veneziani visti dal canale.
In entrambi i casi l’artista costruisce un potente ritratto di Venezia in cui lo spettatore, immedesimandosi nello sguardo dei suoi abitanti autoctoni, non è più tale, ma diventa attivamente compartecipe dei loro stati emotivi e della lotta di resistenza contro l’implosione della città di cui essi sono, forse non del tutto consapevolmente, interpreti.
Info:
Yuri Ancarani. Atlantide 2017 – 2023
A cura di Lorenzo Balbi
MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna, Sala delle Ciminiere
2/02/2023 – 7/05/2023
www.mambo-bologna.org
Laureata in storia dell’arte al DAMS di Bologna, città dove ha continuato a vivere e lavorare, si specializza a Siena con Enrico Crispolti. Curiosa e attenta al divenire della contemporaneità, crede nel potere dell’arte di rendere più interessante la vita e ama esplorarne le ultime tendenze attraverso il dialogo con artisti, curatori e galleristi. Considera la scrittura una forma di ragionamento e analisi che ricostruisce il collegamento tra il percorso creativo dell’artista e il contesto che lo circonda.
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