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Želimir Žilnik. Shadow Citizens

Želimir Žilnik. Shadow Citizens

MuseumsQuartier di Vienna (o più semplicemente MQ) è un polo museale davvero coinvolgente e spettacolare. È stato inaugurato nel 2001 a seguito della ristrutturazione di un insieme di edifici barocchi (in origine destinati a ospitare le scuderie reali) poi completati con interventi di architettura moderna e che, con i suoi 60mila metri quadri disponibili, costituisce uno dei dieci complessi dedicati all’arte più grandi del mondo. Al suo interno ospita il Leopold Museum, il mumok, la seconda sede della Kunsthalle Wien (l’altra sta in Treitstrasse 2), Az W – Architekturzentrum Wien.

Ora, sebbene qualsiasi attività e programmazione siano al momento congelate a causa del perdurare dell’epidemia di Covid-19, Kunsthalle Wien, in collaborazione con l’Austrian Film Museum e con il festival Viennale, propone un’ampia retrospettiva dell’opera cinematografica del regista Želimir Žilnik (nato nel 1942, vive e lavora a Novi Sad, Serbia).

Žilnik è un autore che possiamo definire, senza tema di essere smentiti, “alternativo”, “indipendente” e “impegnato”, nel senso che il suo modo di fare cinema non risponde assolutamente né a logiche di tipo hollywoodiano né a quelle finalizzate allo svago. Fin dal suo esordio, negli anni Sessanta, il suo lavoro si è caratterizzato nel genere del documentario drammatico, tanto che è stato osteggiato e ha dovuto abbandonare, nei primi anni Settanta, la Jugoslavia, per trasferirsi nella Germania Ovest, dove, peraltro, poco dopo, anche lì, a causa dei contenuti fin troppo ostici delle sue pellicole (una per tutte valga come esempio “Gastarbeiter”, incentrata sul tema del lavoratori ospiti) ha avuto problemi e ha dovuto lasciare anche quel paese. Ritornato in Jugoslavia, ha interpretato i primi sintomi dei crescenti conflitti sociali e politici nel paese, della futura frantumazione, per parlare infine della transizione post-socialista verso un ordine neoliberista e delle questioni migratorie. Come dire argomenti non celebrativi e di certo scomodi. Il tutto in linea con la sua personalità antagonista e del tutto vicina allo spirito dei cineclub e del cinema underground che hanno caratterizzato l’intera sua gioventù.

“Shadow Citizens”, titolo della mostra alla Kunsthalle Wien, riflette l’attenzione che nel lungo percorso della sua carriera questo autore ha dedicato ai membri più invisibili della società: persone spesso represse e sottostimate e travisate e collegate a temi che attraversano la filmografia del regista, come le questioni di economie opache o grigie, confini intesi come separazione non solo di stati ma anche di popoli e persone, migrazione forzata, lavoro come contraltare della disoccupazione, terrorismo come sintomo di un disagio e di un dialogo interrotto, stanchezza rivoluzionaria, scontri tra diversi modelli di modernità e altro ancora. Come concetto, la mostra “Shadow Citiziens” vuole indicare una forma di riconoscimento verso la “politica amatoriale”, la conoscenza non normativa di fatti e situazioni, la forza immaginativa e sovversiva di ogni singola immagine e le sensibilità alternative che giacciono sempre dormienti in una società e che solo occasionalmente riescono a respingere le modalità più bieche e corrotte della politica gestita attraverso una sequenza di tipo piramidale. In definitiva l’insieme di queste sue narrazioni diventano un canto corale: una specie di colma del fiume che avanza inesorabile verso una istanza di tipo collettivo.

La mostra presenta anche film raramente proiettati, come “Public Execution” (1974), girato in Germania, e il reportage televisivo su “The Gastarbeiter Opera” (1977), l’unica opera teatrale di Žilnik. Tutti i cortometraggi iconici di Žilnik, dall’inizio della sua carriera fino a oggi, sono proiettati all’interno del circuito espositivo. Ne ricordiamo i titoli, perché sono molto significativi dato che sintetizzano il soggetto di ogni singolo film: “Newsreel on Village Youth, in Winter” (1967); “The Unemployed” (1968); “Little Pioneers” (1968); “June Turmoil” (1969); “Black Film” (1971); “Uprising in Jazak” (1973);”Public Execution” (1974); “I Don’t Know What That Should Mean” (1975); e “Inventory” (1975). La selezione dei lungometraggi è raggruppata in due sale, una incentrata sui personaggi femminili (“Early Works” del 1969; “Paradise. An Imperialist Tragicomedy” del 1976; “Pretty Women Walking Through the City” del 1986; “Marble Ass” del 1995; “One Woman – One Century” del 2011) e l’altra corrispondente alle sue produzioni televisive raramente trasmesse: “The Comedy and Tragedy of Bora Joksimović” (1977); “Volunteers” (1979); “Vera and Eržika” (1981); “Dragoljub and Bogdan: Electricity” (1982); “The First Trimester of Pavle Hromiš” (1983); “Brooklyn – Gusinje” (1988); e “Black and White” (1990).

Questo flusso di fotogrammi diviene un controcanto che richiama dall’oblio della mente tanti nomi, fatti e aneddoti importanti che avevano dato fiato e speranza a tutti gli uomini di buona volontà, negli anni in cui il mondo si sarebbe dovuto capovolgere o quando si è sperato in cambiamenti radicali; purtroppo poi sappiamo come le cose sono andate a finire.

Fabio Fabris

Info:

Želimir Žilnik.“Shadow Citizens”
fino al 18/4/2021
curators: What, How & for Whom / WHW (Ivet Ćurlin, Ana Dević, Nataša Ilić and Sabina Sabolović), assistant curator: Laura Amann, with contributions by Ana Janevski and Jurij Meden
Kunsthalle Wien
MuseumsQuartier
Museumplatz 1
1070 Wien
office@kunsthallewien.at

Ritratto di Želimir Žilnik, 2020. Ph © eSeL.at – Lorenz Seidler, courtesy Kunsthalle Wien

Vista parziale della mostra Želimir Žilnik. Shadow Citizens, Kunsthalle Wien 2020. Ph © eSeL.at – Lorenz Seidler, courtesy Kunsthalle Wien

Želimir Žilnik, Freedom or Cartoons (on-set photo), 1972. Ph Andrej Popović, courtesy the artist e Kunsthalle WienŽelimir Žilnik, Freedom or Cartoons (on-set photo), 1972. Ph Andrej Popović, courtesy the artist e Kunsthalle Wien

Želimir Žilnik, Early Works (on-set photo), 1969. Ph Andrej Popović, courtesy the artist e Kunsthalle Wien


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