Nel 1926 Marcel Duchamp, a seguito di alcuni esperimenti di cinetica, iniziò a produrre delle opere video, tra le quali Anémic Cinéma, un filmato di un disco segnato da forme circolari che ruotavano in loop, a cui si alternavano frasi scioglilingua surreali e prive di senso logico. Osservando oggi questo filmato si nota come Marcel Duchamp volesse quasi stordire e ipnotizzare lo spettatore con misteriosi messaggi per far emergere contenuti inconsci; inoltre, il loop, dalla forma ruotante, annientava il valore del tempo, inteso come una successione di istanti della stessa durata.
Nulla meglio dell’opera di Marcel Duchamp Anémic Cinéma ci può introdurre al focus on della mostra Looper, dedicata a Sonia Andresano e Sebastiano Bottaro, visitabile fino al 29 maggio 2021 presso l’artist-run space Spazio Mensa, negli spazi del Citylab971, ex cartiera di Via Salaria a Roma. Il progetto espositivo è frutto di un dialogo tra i due artisti che si trovano a riflettere sul senso dell’azione reiterata e sulla sospensione del tempo che ne consegue, cosicché le opere pittoriche e installative in mostra svelano l’impalpabile meccanismo dell’inceppamento e della ripetizione. Sonia Andresano (Salerno, 1983) affronta tale tema con il suo approccio concettuale e poetico al flusso della vita, diversamente, Sebastiano Bottaro (Noto, 1993) crea opere, utilizzando tecniche miste, dal carattere anti-programmatico e antiaccademico.
Inoltre, non va sottaciuta l’idea secondo cui la mostra Looper è una chiara dimostrazione di come il tempo e l’immagine siano elementi indivisibili, poiché come afferma il filosofo Henri Bergson per la comprensione dell’immagine è fondamentale uno stato di mimesi temporale giacché “i problemi relativi al soggetto e all’oggetto, alla loro distinzione e alla loro unione, debbono porsi in funzione del tempo piuttosto che dello spazio” [1]. Proprio seguendo questa condizione di mimesi, il visitatore si confronta alle opere in relazione alla nozione di tempo, nonostante entrambi gli artisti, seppur utilizzando diversi media, riescono a mantenere saldo il dialogo, poiché proprio nella differenza mediale si annida il punto di forza di questo singolare confronto. Anche i due testi critici in mostra, di Giuseppe Armogida e Gaia Bobò, sono davvero esemplari proprio perché offrono di per sé stimoli interpretativi senza gravare di spiegazioni il visitatore, a differenza della odierna tendenza che, invece, è quella di condurlo, con una gran messe di informazioni, verso forzate correnti esegetiche.
L’opera installativa di Sonia Andresano, dal titolo ritenta, sarai più fortunata, è composta da una videoinstallazione della durata di otto minuti e articolata in quattro sculture di televisori a tubi catodici e altrettanti video proiettori. Nel complesso l’artista dimostra di aver elaborato uno studio accurato sullo stato dell’oggetto e sulla valenza dell’azione come indice di riflessione sull’esistenza nel mondo e sull’agire umano, rispetto allo spazio che viviamo quotidianamente. Da questi presupposti, Sonia Andresano, riesce a estrapolare i gravami dell’esistenza quotidiana in chiave concettuale, pur mantenendo una poeticità espressiva che ingloba lo stato tensionale ed emotivo dell’essere umano. Così, secondo un articolato accorgimento ottico, il filmato viene riprodotto su pareti spaziali e contemporaneamente altri quattro differenti punti di vista, vengono proiettati su degli scheletri in gesso di televisori catodici poggiati su tavolini. Il video ci presenta una ginnasta che prova a eseguire ripetutamente una verticale sulla superficie amorfa e cangiante di un divano dismesso; le cifre identitarie sono imperniate sia nel mirato posizionamento dei fili sul pavimento, volutamente disposti in uno stato confusionale, sia nella scelta di utilizzare oggetti ritrovati negli spazi di Citylab971, come a voler far riemergere dei reperti da una realtà in disuso, tali da essere considerati come una forma di lascito di una traccia temporale. Tutti questi aspetti sono anche volti a caratterizzare il luogo dove è stato girato il video, l’ex teatro dello spazio CityLab971, da dove deriva pure la traccia audio diffusa di sottofondo che riporta il traffico cittadino dell’antica strada consolare. Così, gli oggetti nella valenza di una vestigia di un tempo perduto, riemergono nell’installazione come manufatti esteticamente rilevanti, capaci come sono di stimolare una riflessione sul tempo che ha il suo baricentro nell’azione visiva della ginnasta, impegnata a esercitarsi su una verticale che sembra non aver mai fine.
I mezzi formali utilizzati da Andresano risultano di grande precisione, poiché tastando gli scheletri in gesso dei televisori catodici si nota la cura maniacale con cui è riuscita a ri-creare l’oggetto in maniera sorprendentemente reale, tutto ciò al fine di destabilizzare lo spettatore facendogli cogliere l’ingannevole valenza oggettiva. Da non sottovalutare l’audacia creativa di Andresano allorquando sceglie di delegare l’esercizio della verticale a una ginnasta dalle ineccepibili capacità fisiche, scelta che rientra nella coerenza dell’artista ravvisabile anche nel video Barcode (2020), in cui viene, infatti, ripreso il cammino dell’artista Simone Cametti in equilibrio sull’inferriata di un cancello della campagna romana. Il messaggio è inequivocabilmente chiaro: anche chi è fisicamente e psicologicamente predisposto ad affrontare una sfida determinate può trovarsi in difficoltà; e proprio secondo questa logica, ritenta, sarai più fortunata è da intendersi come un’opera dai diversi slittamenti concettuali che hanno il cuore nell’atto della ripetizione utile al tenace raggiungimento di un obbiettivo, si da considerare il suo loop come una forma di un inno alla vita e a tutte le difficoltà che ci troviamo ad affrontare ogni dì.
Diversamente, quanto realizzato da Sebastiano Bottaro si pone come ricerca di una spazialità e temporalità di tipo radiografico, organizzata per piani e sovrapposizioni di colorazioni metalliche. Le opere, a tal proposito, sembrano giunte da spazi intergalattici, popolati da buchi neri e regolati da leggi fisiche indipendenti da quelle terrestri, a ragione delle loro tonalità telluriche e metalliche. Punti di colore che ci stimolano a immaginare la verve creativa dell’artista come appartenente a un lontano pianeta, ponendo in luce, nel contempo, le sue capacità di lasciarsi travolgere dal pathos creativo, secondo logiche proprie, autoreferenziali e indipendenti da quelle terrestri. Così, le opere di Bottaro appaiono essere l’unica traccia che ci è giunta dallo smisurato spazio dove egli è libero di creare, e nel discendere verso il nostro pianeta, le sue opere sembrano aver mantenuto traccia delle percosse vibrazionali che hanno rotto le righe sui supporti in maniera improvvisa. Secondo quest’ottica le opere di Bottaro sembrano grate fotodinamiche esplose, nei cui livelli sottostanti zampillano energie inaspettate e in questo senso l’artista rompe e sradica i legami con il mondo, dove invece il senso della ripetizione regna incontrastato. Un altro aspetto caratterizzante dell’azione creativa di Sebastiano Bottaro è la particolare attenzione che lo stesso pone nella loro titolazione: Il bastone e la carota, La mollica che mi soffoca, Il cane senza coda ha perso il collare, Dall’elefante senza zanne. Paradigmi tutti che aprono verso una significazione ermeneutica dei contenuti, tali da sottintendere forme di libertà creativa tipicamente surreali, che per alcuni versi ricordano proprio le frasi trascritte da Marcel Duchamp nei dischi ruotanti in loop di Anémic Cinéma.
Questa emancipazione rispetto all’atto creativo è la stessa forza che conduce l’artista a essere un accumulatore seriale della rigida sintassi di righe, che alla fine si rompono e sbavano sul supporto come forma di sinonimo di una pittura antiaccademica. Le ondulazioni così interrotte sembrano emissioni radiofoniche di un linguaggio misterioso che inviano tracce vocali in loop, anche se all’improvviso si inceppano. Ed ecco che Bottaro si presenta come un artista interessato a creare dei fenomeni della vita piuttosto che a rappresentarli, così tra le linee interrotte emerge un’ardita esplosività di forme di colore, come se fossero attimi di vita insidiata, eternamente aggrappati sul supporto.
Se ora, infine, ci chiedessimo quale potrebbe essere il vero significato di una immagine o azione in loop, dovremmo ricondurci alla veemente istanza che sembra insidiare le opere in mostra, laddove il loop assurge come una forma di riflessione della logica della mimesi bergsoniania che unisce immagine e tempo.
[1] Henri Bergson, Materia e memoria, Editori Laterza, Roma-Bari, 2011, p. 57.
Info:
LOOPER
Sonia Andresano – Sebastiano Bottaro
SPAZIOMENSA
Via Salaria, 971, Roma
8 maggio – 29 maggio 2021
Mostra visitabile su appuntamento
Prenotazioni: spaziomensa@gmail.com
Sonia Andresano, ritenta, sarai più fortunata, 2021, videoinstallazione, sculture, Ph. Credit Giorgio Benni, Courtesy SPAZIOMENSA e l’artista
Sonia Andresano, ritenta, sarai più fortunata, 2021, videoinstallazione, sculture, Ph. Credit Giorgio Benni, Courtesy SPAZIOMENSA e l’artista
Sonia Andresano, ritenta, sarai più fortunata, 2021, videoinstallazione, sculture, Ph. Credit Giorgio Benni, Courtesy SPAZIOMENSA e l’artista
Da sinistra a destra: Sebastiano Bottaro, Il bastone senza la carota, 2021, tecnica mista, 190 x 190 cm; Dall’elefante senza zanne, 2021, tecnica mista, 190 x 190 cm; La mollica che mi soffoca, 2021, tecnica mista, 190 x 190 cm, Ph. Credit Giorgio Benni, Courtesy SPAZIOMENSA e l’artista
Sebastiano Bottaro, Dall’elefante senza zanne, 2021, tecnica mista, 190 x 190 cm; La mollica che mi soffoca, 2021, tecnica mista, 190 x 190 cm, Ph. Credit Giorgio Benni, Courtesy SPAZIOMENSA e l’artista
Da sinistra a destra: Sebastiano Bottaro, Dall’elefante senza zanne, 2021, tecnica mista, 190 x 190 cm; La mollica che mi soffoca, 2021, tecnica mista, 190 x 190 cm; Il bastone senza la carota, 2021, tecnica mista, 190 x 190 cm, Ph. Credit Giorgio Benni, Courtesy SPAZIOMENSA e l’artista
Maria Vittoria Pinotti (1986, San Benedetto del Tronto) è storica dell’arte, autrice e critica indipendente. Attualmente è coordinatrice dell’Archivio fotografico di Claudio Abate e Manager presso lo Studio di Elena Bellantoni. Dal 2016 al 2023 ha rivestito il ruolo di Gallery Manager in una galleria nel centro storico di Roma. Ha lavorato con uffici ministeriali, quali il Segretariato Generale del Ministero della Cultura e l’Archivio Centrale dello Stato. Attualmente collabora con riviste del settore culturale concentrandosi su approfondimenti tematici dedicati all’arte moderna e contemporanea.
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